Finora il debito emergente ha resistito bene dopo le elezioni Usa. L'indice JPMorgan EMBI Global Diversified del debito sovrano in valuta forte è in rialzo di poco più dell'1%. Nel 2016, nella settimana successiva all'elezione di Trump, era calato del 4%. L'indice JPM GBI-EM Global Diversified del debito in valuta locale è in calo di circa l'1%, comunque meglio del calo del 7% registrato nel 2016 ed è in gran parte il risultato dell'ampia forza del dollaro statunitense; ad esempio, dalle elezioni gli investitori in euro sul debito emergente in valuta locale stanno registrando un rialzo di oltre il 2%.
A nostro avviso, una delle ragioni di questa performance più forte dopo le elezioni è dovuta al fatto che la vittoria di Trump questa volta aveva maggiori probabilità ed era in parte prezzata: le valute dei mercati emergenti erano già scese leggermente a ottobre, quando le probabilità erano passate a favore dei repubblicani e le aspettative di un aumento dei tassi statunitensi e di un dollaro più forte erano aumentate. Ma è anche vero che gli investitori dispongono di maggiori informazioni su cosa aspettarsi da un'amministrazione Trump rispetto al 2016 e che i fondamentali del debito emergente sono probabilmente più solidi.
Uno sguardo al passato e uno al futuro
Dopo le elezioni del 2016, il debito emergente era poi rimbalzato grazie alle prospettive di tagli fiscali e deregolamentazione a sostegno della crescita globale e i portafogli su questa asset class avevano registrato afflussi record. Nel 2018 l'asset class ha attraversato una fase di turbolenza, quando la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina si è intensificata e l'inasprimento delle condizioni finanziarie ha innescato le crisi in Turchia e Argentina. Dopo questi venti contrari, tuttavia, un nuovo rally è stato alimentato dall'affievolirsi delle tensioni commerciali, dalla rinnovata certezza degli accordi commerciali e dal passaggio a metà 2019 a una politica più allentata da parte della Fed. Complessivamente, il debito emergente ha ottenuto ritorni totali compresi tra il 15 e il 20% nei primi tre anni del mandato di Trump, prima dell’impatto del Covid19 nel 2020.
In vista del 2025, dobbiamo aspettarci le lotte commerciali e l'inasprimento monetario del 2018 o di rivedere l’animal spirit e la politica accomodante del 2019?
Riteniamo probabile un'azione più rapida sull'agenda politica, dato che il campo di Trump sembra meglio preparato rispetto al 2016. Ciò potrebbe significare un inizio anticipato degli aumenti tariffari sui partner commerciali statunitensi con potenziali ripercussioni sui mercati valutari. Questo rischio ci aveva resi più cauti sulle valute dei mercati emergenti in vista delle elezioni, in particolare sulle valute a basso rendimento delle economie asiatiche più aperte come Cina e Malesia. I rischi per le valute dei mercati emergenti ci sembrano più equilibrati dopo la correzione rispetto al dollaro di ottobre e novembre. Le metriche di valutazione non appaiono così eccessive e il posizionamento degli investitori appare molto leggero. Riteniamo tuttavia opportuno mantenere un po' risorse in previsione di potenziali contraccolpi sulle prossime notizie di politica commerciale, concentrandoci al contempo sulle opportunità relative value bottom-up nelle valute che dovrebbero essere meno esposte a questa incertezza politica, come il real brasiliano, la lira turca e alcune valute dei mercati di frontiera.
Vediamo anche un valore nei mercati dei tassi locali dove l'inflazione più bassa giustifica l'allentamento delle politiche o dove i tassi reali sono elevati, come la Repubblica Ceca, le Filippine e il Sudafrica. Sul debito emergente in valuta forte siamo cauti sui titoli investment grade a più lunga scadenza, poiché gli spread sono già relativamente stretti e i mercati si interrogano sulla durata e sulla continuità del ciclo di riduzione dei tassi negli Stati Uniti. Anche gli emittenti high yield con imminenti esigenze di accesso al mercato e alternative limitate, come i finanziamenti del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), potrebbero essere esposti se i tassi statunitensi dovessero salire più del previsto. Vediamo tuttavia opportunità tra gli high yield con rating BB che dovrebbero essere più resilienti a questi rischi, come Costa d'Avorio, Colombia e Sudafrica. Siamo inoltre costruttivi su alcuni emittenti con rating inferiore e con fondamentali in miglioramento, come Argentina, El Salvador, Ghana e Sri Lanka. Nel complesso, gli spread sovrani high yield del debito emergente offrono ancora più di 100 punti base di spread aggiuntivo rispetto all’high yield statunitense, dove gli spread sono vicini ai massimi storici.
Fondamentali solidi e in miglioramento
Da ultimo è importante notare che i fondamentali del debito emergente entrano nell'era Trump 2.0 da un solido punto di partenza. Dopo il periodo di crisi dei mercati emergenti del 2020/2022, caratterizzato dalla pandemia, dall'impennata dell'inflazione e dei tassi d'interesse e dall'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, c'è stata un'inversione di tendenza, in quanto i governi hanno risposto riducendo i disavanzi fiscali, attuando riforme fondamentali e cercando il sostegno del Fmi e di altre fonti di finanziamento agevolato. Riteniamo limitato il rischio di grandi eventi creditizi tra gli emittenti sovrani nel prossimo anno. Tra gli emittenti societari dei mercati emergenti, la leva finanziaria netta è vicina ai livelli più bassi dalla crisi finanziaria globale, mentre i margini si stanno riprendendo in un contesto di raffreddamento dell'inflazione e di crescita robusta. I tassi di default per le obbligazioni societarie high yield sono scesi da livelli a due cifre nel 2022, alla media pre pandemia di circa il 3%. Questi miglioramenti si sono riflessi in una tendenza all'aumento degli upgrade dei rating, che ora sono ai massimi da dieci anni sia per i titoli sovrani sia per i corporate.
A cura di Rob Drijkoningen, Co-Head of Emerging Markets Debt di Neuberger Berman
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