È tutta una questione di prospettiva, a cura di Clearbridge Investments
ClearBridge Investments (gruppo Franklin Templeton) suggerisce che adottare una prospettiva di più lungo periodo possa condurre a una conclusione diversa riguardo alla salute di un’economia in rallentamento
17/07/2024
Redazione MondoInstitutional
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La prospettiva è definita come “la valutazione soggettiva di importanza relativa; un punto di vista”. La prospettiva è importante in tutti gli aspetti della vita quotidiana, ed eventi più rilevanti (il ruolo genitoriale) e meno rilevanti (un ingorgo di traffico) possono modificare la visione personale del mondo in cui viviamo. Ciò è particolarmente vero quando si analizzano i dati dell’economia e del mercato finanziario, e a volte le idee migliori emergono quando gli analisti fanno un passo indietro per rivalutare e considerare prospettive alternative. Al momento attuale, una serie di datapoint suggerisce un rallentamento dell’economia statunitense. Tuttavia zoomando all’indietro e adottando una prospettiva di più lungo termine si arriva a una conclusione diversa: l’economia è ancora sana e si sta invece normalizzando dopo un periodo di crescita elevata successiva al recupero dalla pandemia di Covid19.
Il comparto manifatturiero offre un esempio come una prospettiva di più lungo termine porti a una conclusione diversa. Il sondaggio ISM Manufacturing PMI headline presenta un quadro più completo dell’andamento del ciclo economico in generale e dell’attività manifatturiera in particolare. Dopo aver raggiunto il livello più elevato (64) di quasi tre decenni nel 2021, questo sondaggio è scivolato in territorio di contrazione (meno di 50) alla fine del 2022, restandovi poi per più di un anno. Gli investitori con una prospettiva di breve termine potrebbero osservare che l’ISM Manufacturing PMI è stato debole per più di un anno, subendo una nuova contrazione nel secondo trimestre dopo una breve espansione nel mese di marzo, con un andamento che ha destato preoccupazioni. Tuttavia gli investitori con una prospettiva di più lungo termine potrebbero invece concludere che il processo di un’inversione positiva dell’ISM è relativamente esente da ostacoli, e una volta raggiunta una solida base da cui riprendere a salire, rappresenta la norma storica. Inoltre negli atterraggi morbidi del passato l’ISM non è sceso a meno di 45 circa, analogamente al 2023.
Una seconda area nella quale la prospettiva può avere un impatto sulle conclusioni tratte da un investitore riguarda l’attuale morosità nel rimborso del debito, ossia la quota di consumatori che iniziano ad essere in ritardo sui rimborsi dei prestiti. I tassi di morosità sono stati in costante aumento dalla fine del 2021, con categorie quali i finanziamenti per l’acquisto di auto e le carte di credito superiori ai livelli pre-pandemia. Ciò desta preoccupazioni per un deterioramento della situazione finanziaria dei consumatori, e un eventuale rallentamento dei consumi qualora la gente si trovi obbligata a ridurre le proprie spese. Il peggioramento tuttavia deriva in gran parte specificamente da prestiti concessi nel 2020 e 2021, quando la condizione finanziaria di molti debitori subprime precedenti era più sana a seguito dei sussidi di stimolo, programmi di dilazione per lil pagamento degli affitti e il rimborso dei prestiti e forti aumenti dei salari per i redditi più bassi. La dinamica relativa alla morosità nel rimborso del debito assunto più recentemente è diversa e, ancora più importante, il picco di crescita dei tassi di morosità è stato raggiunto nel 2023. Secondo le previsioni di numerosi team di gestione delle banche, i tassi di morosità non dovrebbero più crescere nei prossimi trimestri, dimostrando un rallentamento incrementale della crescita di nuove morosità nel rimborso dei prestiti. Infine, da una prospettiva di più lungo termine risulta che i tassi di morosità sono ancora ampiamente allineati ai livelli pre pandemia e pur essendo aumentati recentemente non sono ancora entrati in territorio difficile. Osservandoli tramite questa lente, gli elementi sfavorevoli per i consumi dovrebbero essere alquanto limitati.
I consumatori con redditi più bassi sono quelli che hanno maggiori probabilità di ritardare nel rimborso dei loro debiti. Stiamo comunque assistendo a qualche sviluppo positivo: negli ultimi anni gli americani con le entrate più basse (misurati in quintili) hanno beneficiato degli aumenti di salario più elevati, con rialzi del 31% dall’inizio della pandemia, a fronte di un’inflazione (CPI) salita solo del 19,4%. Ciò ha aiutato a sostenere la propria spesa, anche a fronte di un aumento del costo giornaliero della vita. Pur essendo ancora sotto pressione, questo gruppo rappresenta meno del 10% dei consumi complessivi. In effetti, i tre quintili più bassi (60%) nello spettro del reddito complessivamente rappresentano una spesa corrispondente a quella del quintile più alto (20%) da solo. Negli ultimi anni, mentre i salari dei gruppi con reddito più elevato non sono aumentati molto più rapidamente rispetto all’inflazione, con la notevole rivalutazione dei prezzi delle case e i mercati finanziari queste persone hanno beneficiato di effetti patrimoniali positivi. In combinazione con un minore onere di debito, questo gruppo sembra in buona posizione per compensare qualsiasi calo della spesa dei consumatori con reddito più basso e aiutare l’economia a continuare a espandersi. L’aumento straordinario dei salari per gli americani a basso reddito era arrivato in gran parte durante la riapertura successiva alla pandemia, quando trovare lavoratori costituiva forse la maggiore difficoltà per molti datori di lavoro. Salari elevati, recessione dei rischi legati alla pandemia e forte immigrazione hanno tutti contribuito allo slancio dell’offerta di lavoratori, che nel complesso ha avuto più recentemente a fronte di un contesto d moderazione della domanda di lavoratori. Il risultato sono stati aumenti più modesti dei salari negli ultimi due anni.
Sebbene nessuno stia sostenendo una flessione del mercato, un rallentamento della crescita economica dovrebbe tradursi in una moderazione delle pressioni inflazionistiche, un risultato che sarebbe favorevole per la Fed. Ua fase di crescita ancora più debole potrebbe aiutare l’avvio del tanto atteso ciclo di tagli dei tassi. Secondo l’opinione comune, la Fed sarà esitante a modificare i tassi in un momento così vicino alle elezioni, sforzandosi di mantenere l’indipendenza ed evitare eventuali imputazioni di interferenza. La storia mostra tuttavia che la Fed è intervenuta sui tassi d’interesse in tutti gli anni di elezioni presidenziali dal 1956, con un’unica eccezione. E in effetti nel 2012, pur non essendo intervenuta sui tassi dei Fed Funds, a settembre la banca centrale aveva annunciato un terzo round di accomodamento quantitativo, meno di due mesi prima delle elezioni.
Se dovesse verificarsi, l’inizio di un ciclo di tagli dovrebbe rafforzare le probabilità di un atterraggio morbido. La storia mostra che gli atterraggi morbidi sono difficili da realizzare; negli ultimi 45 anni ve ne sono stati solo due. Tuttavia il ciclo attuale è peculiare sotto molti punti di vista, e vari fattori suggeriscono che la Fed potrebbe riuscire a mettere a segno un atterraggio morbido. Se ciò dovesse avvenire in concomitanza con l’inizio di tagli dei tassi, spostarsi uscendo dalla curva del rischio è stato storicamente vantaggioso per gli investitori. Durante gli atterraggi morbidi del passato, nell’anno successivo al primo taglio dei tassi in generale le azioni in generale (grandi e piccole, crescita e valore) sono andate meglio rispetto alla liquidità, con l’indice Russell 1000 Growth che ha realizzato la migliore performance media del 16%.
Certi investitori hanno mostrato una riluttanza a impiegare capitale in azioni nel momento attuale, considerando le valutazioni elevate. Nello scorso trimestre avevamo parlato dell’opportunità per l’indice S&P 500 di negoziare con multipli superiori alla media di lungo termine grazie a fondamentali di qualità superiore e un cambiamento nella composizione del benchmark favorevole alla crescita e a titoli più difensivi, che tendenzialmente sono scambiati con un premio. Vi sono tuttavia altri motivi per cui le valutazioni non dovrebbero essere considerate un motivo per esitare, almeno per la maggior parte dei titoli inclusi nell’indice. Un gruppo ristretto delle società più importanti sta avendo un impatto eccezionale sulla valutazione del benchmark (21,0x NTM EPS), creando un divario di rilievo tra i 10 titoli più importanti a 29,3x e gli altri 490, generalmente con fondamentali sani, a un più ragionevole 17,8x.
Questo contesto della valutazione è un’altra area nella quale siamo convinti che la prospettiva sia importante. Un altro modo di considerare le valutazioni per le azioni “tipiche” consiste nel considerare l’S&P 500 equiponderato invece di limitarsi a rimuovere i 10 titoli più importanti. Questa versione del benchmark, che in una prospettiva di ponderazione tratta tutte le società nello stesso modo, è scambiata con un vantaggio minore a 0,5x rispetto alla sua media di lungo termine. Un contesto nel quale la valutazione del benchmark è elevata mentre allo stesso tempo il titolo azionario tipico è molto più ragionevole presenta un’opportunità per i gestori attivi. Mentre gli investitori passivi non possono aggirare le valutazioni elevate integrate nei componenti più rilevanti del benchmark, gli investitori attivi possono essere più selettivi nell’avvantaggiarsi di opportunità i cui prezzi non sono adeguati.
Riepilogando, riteniamo che il rallentamento dell’economia sia meglio caratterizzato come una normalizzazione successiva a un periodo molto forte. Questa fase più debole potrebbe essere eccessivamente estrapolata da investimenti che abitualmente risentono dele turbolenze preelettorali, predisponendo per un’estate che potrebbe essere più burrascosa per le azioni. Infine, siamo convinti che una prospettiva di più lungo periodo indica che i mercati di destinazione e l’economia sono avviati verso la realizzazione di quello che due o tre anni fa molti ritenevano l’esito più probabile: un ritorno alla normalità. Arrivare alla meta ha richiesto solo un po’ più di tempo.

A cura di Jeffrey Schulze, Head of Economic and Market Strategy di ClearBridge Investments, Gruppo Franklin Templeton

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